Omaggio al Partigiano Minatore Silvio Di Luzio

Omaggio al Partigiano Minatore Silvio Di Luzio

Quando arrivammo alla miniera vedemmo solo fumo. Era tutto buio, ma sapevamo che lì sotto, a mille metri di profondità, c’erano 275 minatori, nostri colleghi. Io avevo già partecipato ai soccorsi in altre sciagure, ero allenato, ma quando arrivammo lì sotto abbiamo trovato l’inferno. Non so come noi stessi siamo riusciti a salvarci”. E’ il racconto di Silvio Di Luzio, minatore-eroe, che cercò, rischiando la vita, di portare aiuto ai suoi compagni intrappolati nella miniera. La sua è una delle testimonianze di quella maledetta giornata dell’8 agosto 1956, il giorno della strage, in cui morirono 262 minatori.

La storia di questi minatori, questa strage, ci riportano al Dopoguerra, al governo De Gasperi, a una classe dirigente che fin dal 1946 iniziò a organizzare “un’emigrazione di Stato” di lavoratori italiani.

Le piazze e i bar dei paesini, da Nord a Sud dell’Italia, furono tappezzati di manifesti rosa che incitavano a partire per le miniere del Belgio, con allettanti (e false) promesse. Accanto ai centri di emigrazione legale, si creò anche la rete dei trafficanti di migranti. Regolari o irregolari, l’importante era che fossero tanti, un esercito di operai chiamato a produrre più carbone possibile.

Molti dei nostri connazionali, dopo i primi mesi, rimpatriarono o furono arrestati per il rifiuto di sottostare alle condizioni di lavoro e abitative disumane su cui il governo belga e quello italiano si erano accordati: un flusso di almeno duemila minatori a settimana, in cambio di una fornitura di carbone all’Italia. Intanto i minatori morivano, come nella strage di Marcinelle, o per malattie come la silicosi
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